Il Passaggio generazionale: un rito o una transizione da semplificare?
Il Passaggio Generazionale è un momento fondamentale ed estremamente delicato non già e non solo per le imprese familiari ma anche e soprattutto per un intero modus operandi che valica tempi, concezioni e visioni di un mondo che, sempre più velocemente, muta e con il quale è necessario tenere il passo senza, però, perdere di vista quelli che sono i principi di una transizione patrimoniale, materiale ed immateriale.
L’indagine deve qui, necessariamente, aprirsi ad una dimensione speculativa più ampia che torni alla legislazione anche attraverso una riflessione giunta da lontano. In ambito legale, oggi, il Passaggio Generazionale è inteso come quel pluriennale processo in cui si missano aspetti giuridici, fiscali, amministrativi che coinvolgono la migrazione di una attività o di beni materiali da una generazione più adulta ad una più giovane; in tale trasmigrazione sono ovviamente implicati anche legami e fattori psicologici, sociali, culturali, elementi che vedranno sovrapporsi, giocoforza, le dinamiche personali e familiari con quelle lavorative, aziendali e patrimoniali. Come spesso accade, e come è facile immaginare, tale percorso non è privo di ostacoli, poiché esso coinvolge sia figli o altri eredi volenti, sia altre figure ereditarie di altro grado. Il passaggio, in ogni caso, tende a garantire la continuità identitaria ma comporta nuove responsabilità ed immancabili cambiamenti, spesso teatro di accesi scontri che la giurisprudenza ben conosce.
Ciò che avviene, in un certo qual modo, è una sorta di transito da una ‘coerenza rituale’ ad una ‘coerenza testuale’, ove la seconda lascia emergere problematiche abissali che, ad esempio, nell’universo imprenditoriale del Made in Italy ha portato alla scompaginazione di alcune storiche imprese familiari, oggi appendici di holding estere che, talvolta, hanno perduto ogni legame con il patrimonio intellettuale del fondatore.
Come accennato, quello che avviene in ambito aziendale ed imprenditoriale, comunemente, è all’arte già noto da secoli, in maniera un po’ differente. Mi riferisco a quel mondo delle botteghe, originatosi nella classicità ed affermatosi in particolare nel Medioevo e nel Rinascimento. Al concetto di bottega certamente possiamo accomunare i nomi di Giotto in epoca medievale, iniziatore di tale visione corporativa, di Raffaello nel Rinascimento e quello di Rubens, archetipo dell’età barocca. Sin dal Duecento, in ogni caso, la bottega era il luogo di lavoro del ‘maestro’ nominato tale e che aveva la possibilità di prender in aiuto con sé degli allievi, anche sotto forme di pagamento da parte delle famiglie, affinché al ragazzo fosse insegnato un ‘mestiere’. In bottega le figure attorno all’artista-maestro erano diverse, con gradi di responsabilità crescenti, tale da far divenire questi luoghi vere e proprie fucine di talenti, a volte simili a quelle che oggi potremmo immaginare come ditte individuali di progettazione culturale e commerciale, talaltra come accademie ante litteram di formazione, teorica e pratica, dove il ‘rischio di impresa’ era suddiviso tra il maestro ed altri colleghi, vere corporazioni o società. Il lavoro di insegnamento poteva esser svolto in maniera autonoma dall’artista oppure anche attraverso l’aiuto di aiutanti, allievi correttamente stipendiati. Questi ultimi facevano richiesta di ‘esser presi a bottega’ per imparare dai migliori maestri e poter diventare, in futuro, essi stessi tali. Gli aiutanti erano invece, alla stregua di operai, degli impiegati, scelti ed utilizzati per il loro modo abile e veloce d’esecuzione di alcune parti del lavoro artistico. Oggi parleremmo di apprendistato, tirocinio, praticantato od altre forme comuni al linguaggio del mondo del lavoro tuttavia, ciò che segna una sorta di similitudine con il discorso del Passaggio Generazionale, è che, anche nelle botteghe d’arte si è assistito ad un passaggio di testimone familiare. Scorrendo il nostro archivio mnemonico, ricorderemo i nomi dei Bellini e del Mantegna, del Parmigianino, dei Carracci, di Canaletto, del Correggio, Artemisia Gentileschi e, nel ‘900, possiamo pensare alla dinastia dei Cascella, oltre a molti altri nomi ben noti – De Chirico, Pistoletto ad esempio – . Ciononostante, esser figli o fratelli di altri artisti non era sempre una sorta di agevolazione; la Storia dell’Arte, come storia dell’uomo, ci insegna che in molte occasioni, artisti cresciuti nella bottega familiare, che pure permise loro di coltivare in modo privilegiato il proprio talento, rivelarono come claustrofobica l’ombra dei predecessori, sì da determinare un allontanamento delle seconde generazioni.
Quello che potremmo rendere metaforicamente con l’immagine di un traghettamento, si propone come sinestesia e torna, ancora una volta, nell’universo dell’arte, legandosi al nostro tema. Studi corali dimostrano che, ad esempio, opere afferenti a Giotto ed alla sua bottega, erano firmate da lettere e monogrammi del maestro, quasi si trattasse non già di dimostrazione autografa quanto di sigillo di ‘garanzia’ di autenticità di provenienza, ovvero, ciò che oggi definiremmo ‘logo’ (aziendale).
Come è possibile notare, la questione del Passaggio Generazionale assume contorni molto ampi, che determinano alcune strette consonanze con aspetti che appartengono ad altre dimensioni. Tornando, però, al nostro tema così come la normativa moderna lo intende, è necessario indagarne elementi che rendono un simile processo più complicato di quanto si potrebbe credere.
Il traghettamento che immaginiamo ovvio, naturale, quasi fisiologico in una azienda o realtà imprenditoriale familiare, talvolta però può diventare un naufragio, a partire proprio dai limiti che sono da ricercare ex ante tale meccanismo.
Tra i più comuni errori implicati in tali dinamiche, rientra, senza dubbio, certamente quello che vede nel Passaggio Generazionale la mera staffetta dei concetti di ‘tradizione’, ‘storia’ e ‘famiglia’ come capisaldi inviolabili; in tale malinteso rientrano quegli sviluppi che, se di fatto sostituiscono le gerarchie senior con l’affidamento a quelle junior dell’impresa, di fatto, le prime pretendono di continuare a mantenere il controllo in maniera indiretta. Ecco, pertanto, entrare in scena questioni attoriali complesse che, oltre dall’avventura imprenditoriale ed aziendale, giungono dalle trame familiari intrinseche, complicando le cose spesso in modo incontrovertibile.
A tale atteggiamento – che la psicologia saprebbe spiegare molto bene – può far da contraltare l’errore specchio, ovvero quello che trova nell’affidamento alle generazioni junior una ferrea volontà di cambiamento, quando non di stravolgimento che, però, rischia la compromissione di quei valori su cui i fondatori hanno incentrato la nascita e la crescita aziendale. Questi, che possono apparire ‘casi limite’, in realtà racchiudono una moltitudine pressoché infinita di exempla capaci di trattare ogni ramo della giurisprudenza e del diritto. Accade, molte volte, che il Passaggio Generazionale si trasformi nel campo di battaglia per un gioco di potere tra le parti che, attraverso le scelte diverse ed opposte, scandiscono il proprio ruolo e la propria visione.
Abbiamo già fatto cenno alla firma di Giotto e, contestualizzando tale riferimento, basti pensare che un logo aziendale può essere uno dei motivi che complicano un Passaggio Generazionale. Se il logo rappresenta tout court, l’identità di una impresa, esso dovrà rispondere anche dei cambiamenti che avvengono al suo interno, per poterne comprovare la riconoscibilità veridica, seppur la volontà di non stravolgere le radici delle origini può apparire superfluo.
Cambiare un logo, dare nuova veste architettonica ad una sede d’azienda, mutarne i processi intellettuali, produttivi, commerciali o finanziari non è sempre errato. Il cambiamento porta con sé il nuovo e l’ignoto, abbandona ogni certezza del passato; tuttavia, è attraverso il mutamento e la trasformazione che ogni ciclo si rinnova, come l’esistenza e ciò che ad essa appartiene.
“Tutti i cambiamenti, anche i più attesi, hanno la loro malinconia, perché ciò che lasciano dietro di noi è parte di noi stessi, dobbiamo morire in una vita prima di poter entrare in un’altra.”
Anatole France
Guardando oltre le sale di un CDA, ci si potrà imbattere in riflessioni altre, che riguardano un tipo di Passaggio Generazionale che esce – o meglio, è uscito – dai confini della società familiare per farsi strada nella società collettiva. Basti pensare alle città nate per volere dei Signori che ad artisti e architetti avevano affidato il compito di costruire luoghi identitari che potessero, però, esser fruiti dall’intero popolo: Milano, ad esempio, conserva ancora la grandiosità dell’immaginario dei Visconti e degli Sforza, stessa cosa si dica per la Ferrara degli Este e si pensi anche a Pienza, ovvero il borgo di Corsignano, natio di Pio II, trasformato in una sorta di città ideale rinascimentale dal Rossellino per volere del Papa Piccolomini. Un Passaggio Generazionale maestoso che non si è conchiuso entro le mura dell’eredità familiare. Oggi, soprattutto nell’architettura gli esempi sono innumerevoli, da Dubai a Shangai, ove il mutamento è stata la chiave di un passaggio tra vecchie e nuove generazioni, passando per un processo al quale sono molto affezionata e che rimanda al Village di New York per mano della pasionaria Jane Jacobs, urbanista americana che osò mettersi contro l’immobiliarista per antonomasia, Robert Moses, negli anni ’60. La Jacobs lottò a lungo affinché il Greenwich Village non perdesse la sua identità sociale, culturale e collettiva a causa della strategia di orrenda cementificazione ideata da Moses. Lei riuscì a vincere una battaglia estrema, dovendo persino riparare in Canada ma lasciando alle generazioni future una New York più vivibile.
Le storie come queste si rispecchiano nelle microaree sociali come quelle dell’imprenditoria di matrice familiare. Tornando a questa realtà, anima dell’indagine portata avanti con Jaumann, ci si chiede: può il Passaggio Generazionale essere un processo naturale e privo di scontri? Può il Passaggio Generazionale essere portato avanti grazie ad una normativa ad hoc per tutti gli elementi fondamenti al cambiamento?
La teoria vorrebbe che il Passaggio Generazionale avvenisse sottoforma di transizione fluida, naturale e all’interno di quello che potremmo considerare un ovvio ciclo storico delle cose, poiché esso esiste in funzione della storia dell’umanità. Spesso le parti, perciò i senior e gli junior, non portano avanti già in precedenza un dialogo proficuo e costruttivo, una sorta di training d’avvicendamento, mostrando, alla fine, solo piani già prestabiliti e necessità d’azione rapida e qui, non priva di errori. Si sa, il divario tra generazioni tende a originare energia centrifuga, allontanante. In che modo si potrebbero evitare scontri accesi e, dunque, persino deleteri per l’impresa?
Determinando un atteggiamento uguale e contrario a quello ovvio: se si immagina o ci si aspetta che il Passaggio Generazionale sia un mutamento naturale in famiglia e impresa, è utile avvicinarsi ad esso con necessità di accordo e armonia che inquadrino il cambiamento epocale in modo distaccato, equilibrato. Si dovrebbe evitare di portare in esso tutte le problematiche riguardanti la sfera affettiva; l’azienda non è la famiglia e la famiglia non è l’azienda. Non è un ragionamento cinico e va inteso con le dovute attenzioni. Al cliché romanzato deve esser contrapposto un razionale punto di vista che possa, appunto, mantenere l’ago della bilancia in perfetto equilibrio, al fine di semplificare le concertazioni e il dialogo conciliante, altrimenti il rischio, pericoloso, di Passaggio Generazionale impossibile da portare avanti si trasforma in una piovra capace di estendere i suoi tentacoli ovunque.
Uscire, perciò, dalla dimensione tossica dei clichés è alla base di un sereno e proficuo cambio. Il nuovo non distrugge il vecchio, semmai, coscienziosamente, può migliorarlo, trarne insegnamenti e benefici arricchendolo di ciò che l’attualità porta con sé: nuove conoscenze, nuove tecnologie, nuove forme di comunicazione e quant’altro. Lo sforzo di bilanciare tali fattori deve muoversi, in maniera sincrona, da entrambe le parti, affinché il Passaggio sia una sorta di staffetta, ossia per il buon lavoro di squadra.
Facile, vero? No.
Ed è proprio sul concetto di facile che si trova la risposta alla seconda domanda che ci siamo posti qualche paragrafo addietro. In che modo la normativa aiuta tale processo? A chi ci si rivolge in caso di Passaggio Generazionale? Solitamente si fa riferimento alla figura di un commercialista, di un avvocato e successivamente di un notaio. In verità, però, le prime due figure, deputate da molte aziende a portare avanti la trasmissione d’impresa, non riescono a cogliere le intere sfumature della faccenda. Ci si rende conto, pertanto, che non esiste una vera figura professionale in grado di proiettare i bisogni e le necessità delle parti nella direzione meno complicata.
Ecco, pertanto entrare in scena il facilitatore – ancora poco aduso nel nostro Paese – il quale, con approccio sociologico più che tecnico, molto spesso pone le parti dinanzi ad un ragionamento sullo status della situazione che può generare – o ha già generato – un conflitto familiare e aziendale. Tale dibattito prende forma e giunge alla fase di sviluppo di una cosiddetta Carta dei Valori stilata dagli antagonisti, nella quale si chiede alle due generazioni di metter da parte le questioni prettamente private e lasciare emergere una visione profondamente umana tramite cui osservare, oggettivamente, la situazione – ecco il ‘distacco’ succitato – in modo da garantire all’analisi dei fatti una decorticazione dalla rabbia o da altri elementi negativi. Tale figura ‘facilita’ il cambiamento e sostituisce in parte la legislazione che, di fatto, non tutela le nuove generazioni.
Invero, a non avere tutela nel Passaggio Generazionale sono sia le nuove leve, sia il patrimonio o i beni da proteggere in quanto tali – accortezza spesso riservata ai coniugi ed ex tali ma non ai figli, ad esempio, nel Diritto di Famiglia – poiché sinora non si è probabilmente pensato che anche tale passaggio necessitasse di una normativa giurisprudenziale ad hoc.
L’Italia è uno dei Paesi in cui i prossimi anni saranno protagonisti di centinaia di Passaggi Generazionali e, a quanto pare, la legislazione non è pronta a fronteggiare situazioni aziendali che, stando ai numeri, non saranno in grado da sole di avviare e portare avanti positivamente il cambio gestionale. Ciò significa che molte aziende potrebbero smettere di esistere in quanto tali, incapaci di saper portare avanti i valori fondanti e saper tener fede alla nuova rotta, destinate alla chiusura o all’acquisizione da parte di altre società maggiori, finendo per essere pedine di una scacchiera altrui.
Il Passaggio Generazionale è una transizione figlia del suo tempo che, tuttavia, non può vanificare il pregresso ma neppure condizionare o fermare il progresso.
“Fin dai tempi più antichi, il filo d’oro è il simbolo di un sapere che nasce dall’esperienza personale e che è libero dai condizionamenti istituzionali. È un filo perché rappresenta la continuità di un’esperienza sempre antica e sempre nuova ed è esile perché in ogni generazione questa consapevolezza viene mantenuta da una minoranza di individui. Questo filo è d’oro perché è immortale, rimane sempre anche nei periodi più caotici e oscuri, a volte più apparente, a volte più nascosto.”
Raimon Panikkar
Oggi, quel filo d’oro andrebbe raccordato anche dalla legislatura affinché il valore di quel simbolo non sia gravato dai periodi caotici e oscuri della storia umana.
Testo di Azzurra Immediato, Foto di Fabio Ricciardiello