Il Simbolo, storia e valore di una rappresentazione dall’arte al branding
Simbolo: dal lat. symbŏlus e symbŏlum, gr. σύμβολον «accostamento», «segno di riconoscimento», «simbolo», der. di συμβάλλω «mettere insieme, far coincidere» (comp. di σύν «insieme» e βάλλω «gettare») [1]
Per comprendere il presente si rivela sempre più urgente e necessario risalire al passato, non per retorica, ma per pensiero evolutivo e speculativo. La troppa disattenzione, la troppa fretta, la troppa egocentrica certezza del sé, hanno finito per generare una società poco grata alla conoscenza e alla Storia. Nel linguaggio ciò appare sempre più chiaro, a partire dal fatto che, talvolta, utilizziamo lemmi e fraseggi di cui non conosciamo davvero il significato e la provenienza e, di conseguenza, ne mutiamo il significante, svuotandone e distruggendone il senso.
Come sempre accade, però, l’Arte sa rispondere a problematiche del quotidiano attraverso il suo porre domande, aprire dialoghi e mostrare prospettive di nuova discussione. Lo Studio Jaumann Srl, occupandosi di proprietà intellettuale, focalizza la propria ricerca sul valore della rappresentazione delle idee, della loro traduzione dal mondo ideale a quello reale, traslazione che comporta un mutamento e, di norma, una sorta di rappresentazione. Sarà utile, perciò, avviare una ricognizione a ritroso e apprendere quanto più possibile da ciò che l’Arte ha saputo rivelare nell’ambito concettuale del simbolo, ovvero quello che, nell’intellectual property, frequentemente, noi definiamo logo, marchio ad anche brand identity.
Il simbolo altro non è che un segno, grafico per lo più, afferente ad un codex primario, attraverso cui esprimere un concetto per via di sintesi: un emblema unico, immediatamente riconoscibile e riconducibile a ciò che tenta di descrivere, raccontare, raccomandare, far conoscere. Nei secoli, a partire dalla preistoria, il simbolo ha funzionato come segno rappresentativo di un linguaggio non verbale in grado di giungere a platee sempre più ampie e, nella sua maggior raffinatezza, di giungere ed esser compreso anche da chi afferiva ad un idioma diverso.
Il simbolo, pertanto, diventa icona.
Icòna: dal russo ikona, e questo dal gr. biz. εἰκόνα, gr. class. εἰκών -όνος «immagine»
[…] In semiologia, secondo la terminologia di Ch. S. Peirce (1839-1914), uno dei tre tipi fondamentali di segni (gli altri due sono l’indice e il simbolo), distinti secondo il rapporto che li unisce alla realtà esteriore: è il segno che è con questa in rapporto di somiglianza, in quanto presenta almeno una delle qualità o ha la stessa configurazione dell’oggetto significato.
[…] In informatica, nei sistemi operativi dotati di interfaccia grafica, piccola immagine che rappresenta in modo simbolico un comando, una funzione o anche un documento o un programma operativo, che appare sullo schermo di un computer (spesso con le caratteristiche di un pulsante) e che, quando venga selezionata dall’utente mediante un apposito strumento (come un mouse o una penna ottica), dà l’avvio alla funzione o al programma che simboleggia (per es., la figura di un cestino per la cartastraccia per il comando «elimina il documento»): cliccare sull’i. del programma; trascinare l’i. da una cartella all’altra.
[…] Figura o personaggio emblematici di un’epoca, di un genere, di un ambiente. [2]
Se pensiamo ad un’icona la prima immagine che ci torna alla mente è di matrice sacra: le icone bizantine ortodosse, ma anche i simboli cristiani come la Croce, i Sacri Cuori, e l’intera agiografia afferente ad ogni credenza religiosa, mistica o popolare. Icona come Imago mentis, elemento incomparabile capace di racchiudere in sé una moltitudine di costituenti un pensiero e capace, al contempo, di diffonderli in maniera capillare. L’Arte, prima sacra, poi laica, ha fatto dell’icona, del simbolo, dell’emblema, dell’allegoria, della metafora, una raffigurazione in grado di mostrare un messaggio nascosto del reale – conscio od inconscio – che soltanto l’occhio dell’artista era ed è in grado di percepire e svelare.
Pittori, Scultori e poi Fotografi e Registi, hanno attinto dall’amplissimo repertorio di simboli del passato immagini e linguaggi rappresentativi di cui spesso si è persa la chiave interpretativa. L’opera d’arte, ha assunto così il ruolo latore di codici considerabili come parte integrante di una struttura di pensiero secolare, spesso, però, persosi nel tempo.
È il pensiero medievale per primo a riorganizzare il grande universo dei simboli giunti dall’antichità, nell’alveo di una nuova concezione teologica, operando, però, una netta suddivisione tra ‘simboli del bene’ e ‘simboli del male’. Il Rinascimento recupera in larga parte la cultura classica, divulgandola grazie all’invenzione della stampa. Simbologie delle civiltà mesopotamiche, indo iraniche ed egizie, arrivano in Europa, accompagnandosi alle immagini simboliche greco romane e quelle derivanti dalla Kabbalah ebraica. A tali elementi, inoltre, si uniscono quelli afferenti al codex alchemico e cosmogonico. Questa complessa epitome trova una regola nel Seicento, con lo studio ragionato che muterà ancora nel Settecento, nell’Ottocento e nel Novecento, per giungere al Duemila come compendio immenso, in cui il soggetto ‘simbolo’ ha dovuto, in qualche maniera, rendersi oggetto di una sorta di dizionario, uno strumento in grado di definire il valore ed il significato di ogni emblema. Tuttavia il simbolo ha saputo persino semplificarsi, filosoficamente, per diventare semplice icona didascalica, senza perdere, però, la sua importanza ex ante.
Analizzando la valenza del simbolo sotto altri aspetti, non sfuggirà l’esperienza estetica cui esso afferisce. Il simbolo, infatti, assume il carattere di oracolo da osservare, da memorizzare, da far proprio attraverso un’immagine, un suo ‘ritratto’ che abbia la forza di diventare oggetto e soggetto di memoria e conoscenza collettiva, universale. Una sorta di interconnessione in grado di svelare utopici mondi, al contempo, reali, amplificandone il senso, così come la resa unica e peculiare.
Il simbolo è parte del tutto, il tutto è parte di noi, noi siamo parte del tutto.
In tal modo, l’icona ha il compito di tradurre, mediante il varco dell’essenza, il concetto di riferimento, il modello cui si ispira, dal quale deriva e che ha il compito di veicolare: aspetto cardine che, in arte, si è sviluppato durante l’Umanesimo, nella volontà di ricercare e generare una inusitata armonia. Un esempio è l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, simbolo par excellence di quella corrente culturale, oggi ammantato di un’aura sacrale che rende il concetto di emblema stesso qualcosa di intoccabile, nell’universo dell’arte e della cultura, più in generale.
Le opere d’arte, da secoli, ci insegnano, però, quanto il simbolo rivesta ruolo attoriale cardine: esso, invero, è parte integrante di un’opera, poiché ne costituisce la chiave di lettura. Molto spesso, in realtà, l’opera si fa mero veicolo di trasmissione del simbolo stesso. Una sorta di corto circuito che, però, reca con sé il valore dell’imprescindibilità.
L’arte, intesa dall’uomo come codice utile all’esigenza dell’espressione della propria esistenza, ha scelto il simbolo come valore ‘esemplare’, forma perfetta, adatta a portare avanti un compito. Il simbolo, ancora, come elemento suggestivo, immaginifico, da codificare e decodificare, a seconda del momento e volto a raccontare, gestire quel che è stato definito ‘il sacro della quotidianità’. È la consistenza delle cose, fisica ed extra tale, a dover esser semplificata, simboleggiata, sia per diventare memento mori, sia per essere memento vitae.
Tenuto conto di ciò e dell’inossidabile rapporto tra Arte e Simbolo, v’è da comprendere quanto, invece, il loro rapporto nel tempo e nello spazio sia variabile, nel solco della costruzione di un legame ricostruibile per ogni epoca e riscontrabile nelle pressoché infinite corrispondenze di usi e significati tra culture differenti.
Ciò, in realtà, nel nostro tempo, ha subito una ulteriore evoluzione, entrando nella dimensione di un altro quotidiano, ovvero quello della brand identity. Come sottolineato altrove, la brand identity si esprime, in maniera ampia, attraverso l’uso di un marchio, un logo, ovvero un simbolo. Un emblema che ha il compito di esprimere, attraverso un segno, l’identità di un soggetto, aziendale, imprenditoriale, commerciale, industriale et similia. Per fare ciò, tali mondi, si affidano all’esperienza dell’arte, alla sua millenaria capacità di giungere a tutti, attraverso una traccia impressa nello spazio che ha forza di restare aggrappata la tempo e alla memoria, ovviamente, però, il simbolo deve avere carattere, energia necessaria ad esprimere nel modo giusto quanto inteso.
Il logo, pertanto, si propone quale attore multiforme e come limbo spazio temporale dal potere di estendersi, supportare o suggerire una graduale immersione concettuale, di avvicinamento ad un ignoto da conoscere e fare proprio. Il simbolo, in un certo senso, funziona come involucro, come un processo filosofico che si traduce in traccia permanente, replicabile all’infinto e recante sempre la medesima potenza del proprio messaggio.
Il logo, il marchio, dunque, il simbolo, è entità riflettente e rifrangente.
Per comprendere al meglio un simile discorso, sarà il caso di affidarci al racconto diretto. Per far ciò, affideremo tale narrazione al logo dello Studio Jaumann.
Analizziamolo insieme. Cosa scorgiamo, riconosciamo, subitamente, in esso? Tre elementi concettuali in relazione: simbolo grafico, scrittura, narrazione, in questa precisa scala di rappresentazione. Osserviamo il logotipo, ovvero il simbolo. Esso racchiude in sé, allegoricamente, diversi elementi, riconducibili a concetti essenziali per lo Studio: un occhio, una stretta di mano, due J speculari. Tale commistione è rappresentata mediante una sintesi evoluta graficamente, che fa emergere, attraverso pochi peculiari tratti segnici, una coralità di semi speculativi. Sin da subito, dunque, l’identità Jaumann si propone all’osservatore come emblema della trasformazione di un’idea in elemento tangibile ed eternabile, portatore di significati, nelle metafore ad esso sottese, già in grado di abbracciare e mostrare un precipuo messaggio.
‘In una cultura abituata da secoli a frazionare ogni cosa al fine di controllarla, può essere sconcertante scoprire che il medium è il messaggio.’[3]
Il medium è il messaggio, ci dice Marshall McLuhan, modificando anni di invettive, di ricerche e indagini, stupendo per la semplicità della sua tesi. Se ci riflettiamo è sempre stato così, sin dalla comparsa atavica del simbolo, ovvero del medium di un messaggio, tangibile o ideale.
Accertato ciò, il logo Jaumann assume una valenza ancor più stringente e la sua lettura si amplia e chiarisce ancor più. L’allegoria della stretta di mano è da interpretare come affidabilità, connessione, empatia, protezione. L’occhio è varco emozionale ma anche strumento per scrutare il reale e comprenderlo, sapendo guardare oltre, intraprendendo saggiamente percorsi giusti. La doppia J è l’elemento personale, grafismo patronimico identitario all’interno di una società che ricorre al nome per la riconoscibilità dell’altro da sé. La fusione di tali elementi e messaggi, in un emblema che rivela nell’ancestrale senso della circolarità il proprio quid, definisce la brand identity dello Studio. Il patrimonio iconografico cui ci si affida, poi, affonda le proprie radici nella simbologia cosmogonica, universale, divenuta parte della memoria culturale collettiva.
La seconda parte del logo è quella riportante il nome dello Studio, elemento di matrice socio culturale che, da Occidente ad Oriente, da Nord a Sud, rende distinguibile una identità.
La terza parte del logo Jaumann è volta a testimoniare, ribadire ma soprattutto condividere quella che, nel linguaggio aziendale, viene chiamata ‘mission’: cosa fa Jaumann Srl con un riferimento alla sua storia, sintetizzata da un altro elemento distintivo: l’anno di nascita. Elementi, questi, che possono fungere da tensione verso un track record, ma che, innanzitutto, aprono un dialogo con l’osservatore. Entrambe le parti di scrittura si affidano ad un certo carattere formale, una grafia chiara, comprensibile ed essenziale, valore aggiunto di qualsiasi tipo di comunicazione.
Infine, la gamma cromatica. Essenziale, lo apprendiamo da millenni racchiudibili nella Storia dell’Arte, è la scelta della palette cromatica che dà forma ad una rappresentazione. Basti pensare all’evoluzione dell’arte egizia, greca e romana, così come di quella indiana ed estremo orientale, per non parlare di quella delle Americhe, ove la ricerca del colore, da materia naturale, costituiva una fase fondamentale del processo creativo ed ancor più, l’epoca moderna, in Europa, lo ha dimostrato in maniera scientifica. Oggi, proprio la scienza apre una ampia discussione sul ruolo affidato alla cromia tale da riversarsi nella filosofia ma anche nei meandri della percezione dei sensi, emotiva e psicologica. Un colore è emblema di sé stesso, con un proprio significato e che, accostato ad un simbolo, genera nuove relazioni. Jaumann Srl ha scelto il turchese e il giallo, ispirati dalla tradizione maiolica mediterranea ma che a noi ricordano anche alle trame cromatiche della sfera celeste ben delineate da Giotto, già presenti in esempi bizantini in Romagna, in un surplus di dettami che mira a dialogare con l’osservatore.
Compito di un logo, dunque – di un simbolo, come ci insegna l’Arte da millenni – è stabilire un contatto diretto ed esclusivo con l’astante, un legame emotivo, una relazione che generi immaginifiche tensioni ma anche un immediato valore, e compito, riproducibile nel mondo reale.
Questo focus non vuole essere l’esegesi del logo che Jaumann srl ha adottato e fatto proprio nel 2019, piuttosto è attraverso tale simbolo che la discussione, in maniera concettuale e circolare, ha potuto attingere elementi di riferimento reali, con cui avviare un percorso comune di conoscenza. L’esempio, tuttavia, apre uno spaccato su quello che è l’universo dei marchi, dei brevetti, della registrazione degli stessi, del loro valore anche in ambito giurisprudenziale e, come abbiamo già visto in altre occasioni, il simbolo acquisisce e dona valore di unicità ad un soggetto che, legalmente, può essere difeso e protetto, poiché esso è derivazione di idee precipue di un soggetto o di un team condiviso, di una famiglia, di una storia imprenditoriale o di un percorso artistico. La proprietà intellettuale può reggersi anche sulla forza del simbolo, altri esempi? Quelli del Copyright © o del Marchio Registrato ®.
Il simbolo giunge dall’arte e si immerge nel branding; la Storia dell’Arte, che è anche Storia dell’Uomo, lo ha mostrato e dimostrato. Se il medium è il messaggio, è la filosofia artistica a proiettare nello spazio e nel discorso sociale e culturale un simbolo ed il suo messaggio. È così che, da sempre, riconosciamo – come per la firma – i monogrammi quali emblemi riconducibili ad un artista ed alla sua specifica ricerca e poetica, sin dal passato. E non potremmo dire altrettanto dei tatuaggi? E della frase “marchio di fabbrica”?
Tutto torna. Il contemporaneo ha preso parte alla sfera del passato, alle nostre radici di senso che continuano a muoversi nella comprensione del reale attraverso il segno, il simbolo, il logo, perché, come afferma la neuroscienza, l’immagine, l’icona, l’imago mentis rappresentano e sono l’elemento primigenio con cui l’uomo si correla al proprio tempo, alla propria storia ed alla propria identità. È nell’immagine che l’uomo cerca un appiglio sicuro, un elemento che racconti la propria idea o che ne esemplifichi quella altrui.
Il simbolo è essenza di creazione e, come tale, è sintesi di un’idea, sempre difendibile nella sua ricchezza ed unicità intellettuale.
Testo di Azzurra Immediato, Foto di Fabio Ricciardiello
[1] Vocabolario Treccani, 1° edizione, 1986, Istituto dell’Enciclopedia Italiana
[2] ibidem
[3] Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Ed. italiana 1967, Il Saggiatore – Understanding Media: The Extensions of Man, 1964, Ed. USA, McGraw-Hill Education